Cronache di un autosabotaggio

Buongiorno, oggi il sole splende e gli uccellini cinguettano. È il primo Marzo, e nella mia testa è appena esploso qualcosa che mi sta facendo oscillare pericolosamente verso qualcosa che non sono nemmeno sicura di voler capire. Le parole che vanno di moda in questo momento, all’interno di quel piccolo cervellino che mi ritrovo, sono sostanzialmente due, diametralmente opposte e contrarie. 

Una è okay.

L’altra è un no. Un no bello potente, eh. Di quelli che rieccheggiano per le strade, che scuotono le pareti, che fanno tremare i muri. È uno di quei no che urlano in quei film apocalittici in cui l’amore della vita del/della protagonista muore accasciato/a tra le sue braccia. È il genere di no che chiunque sano di mente avrá urlato dopo aver visto l’ultima puntata di How I Met Your Mother, per intenderci.

Alla seconda ci sono abituata. Diamine, se ci sono abituata. È la prima che mi rende perplessa.

Ma credo sia il caso di partire dal principio, dato che voi poveri lettori non starete capendo assolutamente nulla di quel che sto scrivendo. 

Dovete sapere che vivo con due ragazzi. Le vicende che mi hanno portato a questa sistemazione sono abbastanza tragicomiche da meritare tutto un altro articolo, e dunque non approfondirò, vi basti sapere questo: sono due ragazzi. Uno lo chiamerò BelCiuffo (oppure CiuffoImpomatato, ancora non ho deciso) e l’altro…l’altro non lo so, per ora accontentiamoci di Wolverine. (Non importa quanto poco credibile fosse, travestito da Wolverine. Non importa davvero, perché quel maledetto costume é stata un’altra delle cose che mi hanno rovinata. Rovinata, vi dico.)

Wolverine è…uhm. Wolverine é. É un sacco di cose, ecco. È una persona, e fino a qui ci siamo. Sì. Credo. 

È una persona…strana. È una persona strana. Lo so, lo so, so cosa starete pensando. Ma che fastidiose tutte queste ripetizioni! Non potrebbe limitarsi a scrivere le cose solo una volta? C’è bisogno di tutta questa rindondanza? 

Avete ragione. Ma in questo momento sono in uno stato mentale strano, in cui ripetere mi serve da salvagente. Perchè qui ve lo dico: sto affogando in un mare di merda.

Dicevo quindi che é una persona strana. A tratti é quel tipo di persona che vorresti sempre veder sorridere, perchè ha una luce malandrina nello sguardo che semplicemente ti fa dire oh. Come i bambini di Povia, solo che Povia mi fa cagare, quindi d’ora in avanti sarà bandita qualsiasi sua citazione da questo blog. Dicevo.  Ha un fare tra il sarcastico e l’ironico, con quella punta di falsissima cattiveria che costituiscono la mia ricetta perfetta per un’attrazione quasi fatale, e poi però… Ha i suoi momenti. Quei momenti che abbiamo tutti, ma in lui si percepiscono particolarmente, perchè l’aria si impregna di qualcosa di cupo e oscuro. (Non badate al mio esser melodrammatica: leggere troppe fanfiction mi ha fritto il cervello). In quei momenti in cui é cupo, tutto di lui è come se si accartocciasse: la voce è più bassa e rauca, gli occhi sono più scuri, e all’oh meravigliato di prima si aggiunge una consonante tonda e dal suono sordo, così da ottenereun bel Boh.

E poi, in tutto questo, ci sono io. Io che credo di essere ancora più strana di lui, perchè alle volte sono tutta una risatina, prendo qualsiasi cosa mi dica alla leggera, ribatto alle battute con altre battute, sempre divertita, mai stanca di fare autoironia. E poi ci sono le altre volte, i miei momenti di cupezza, se li vogliamo chiamare così, in cui non lo sopporto. Non c’è nessuna ragione precisa-o forse si. In quei momenti ho un’acuta consapevolezza dei suoi difetti, ho una chiarissima e precisa visuale di come potremmo essere io e lui, insieme ma anche no, anche solo amici stretti, e tutto ciò a cui riesco a pensare è no. No. No no no no no no.

Analizziamo un secondo questo no. Perchè, ammettiamolo: sono una fottuta maestra, nel dire di no. Ci sono due cose in cui sono dannatamente, maestosamente e tremendamente brava, e queste sono mentire e autosabotarmi. 

Mentire è una di quelle cose che mi si é ormai appiccicata addosso, come un vestito stretto e bagnato, difficile da togliere e pure un po’ frustrante. Lo faccio da che ho età per ricordarmene: no maestra, ci vedo alla lavagna dalla quarta fila. Sì, mamma, li ho fatti i compiti. Questa è l’ultima pagina che leggo, davvero! Poi, col tempo, le menzogne sono diventate più elaborate, serie, ma soprattutto rivolte a me stessa. Certo che ho capito quello che mi hai detto. No, non mi hai fatto stare male. Ti odio. Mento a me stessa e agli altri su ogni genere di cosa, con una facilità talmente disarmante che a volte mi viene quasi da ridere, al pensiero. Salutare o meno, é quello che faccio, e ormai sono talmente brava a farlo che le persone in grado di smascherarmi si contano sulla punta delle dita. Anche le persone più insospettabili sono cadute nella mia ragnatela di bugie, me stessa in primis. 

E qui passiamo all’autosabotaggio. Oh, anche questa é una fitta ragnatela creata con il filo più pregiato sul mercato. Sono talmente brava ad autosabotarmi che spesso e volentieri convinco gli altri delle mie cazzate a tal punto che poi, quando esplodo-perchè c’è sempre un momento in cui esplodo-tutti cadono dal pero. E a me questa cosa non dispiace, perchè io voglio che le persone ignorino i miei secondi pensieri, voglio che siano ammaliati dal canto della sirena, perchè altrimenti se non lo facessero si accorgerebbero che la sirena non è altro che un pesce pieno di squame senza alcun valore. Mi autosaboto nelle maniere più sottili possibili: ci sono mille esempi passati, ma parlavo di Wolverine e quindi starò su quello, altrimenti questo post diventa più lungo del mio elenco di menzogne. Con lui faccio di tutto per autosabotarmi. Insulti agggratis, silenzi assensi a domande scomode, faccio di tutto per fargli capire che per me non è altro che un mollusco asessuato. Non solo: per rendere la cosa ancora più incasinata, praticamente oasso intere giornate a descrivere alle mie amiche difetti che non ha assolutamente, o ad esagerare cose che dice, giusto per sentirmi dir ah ma allora hai ragione, non è affatto adatto a te. Quando sento una frase del genere, qualcosa dentro di me fa le fusa, soddisfatto. 

Perchè? Io non lo so. Non lo so davvero.  Faccio quel che faccio senza un’apparente ragione.Forse non voglio essere felice, forse mi cago addosso al pensiero che cavolo, se andasse bene…se andasse bene poi sicuramente andrá male. La cosa più buffa, credo, è che tutto questo avviene solo ed esclusivamente nella mia testa: ho passato talmente tanto tempo ad autosabotarmi che ormai non distinguo più quando é autosabotaggio o puro realismo. Passo alla velocità della luce dal dire ohh che carino, questa cosa che ha fatto potrebbe voler dire che a me ci tiene a no, é tutto nella tua testa, lo fa con tutte a, ancora, beh ma anche fosse granchissenefrega. Ebbene si, sono ufficialmente tornata ad essere una ragazzetta da romanzi rosa. E io che pensavo di aver superato quella fase nell’adolescenza. Povera, povera illusa

Ora che abbiamo stabilito che sono indubbiamente fuori di testa, passiamo alla parte seria della faccenda. Già, come se fino ad adesso non fossi stata una lagna continua, direte voi. E vi do pure ragione, ma andrò comunque avanti, perchè voglio cavarmi questi sassolini una volta per tutte dalle scarpe. 

L’altro giorno Qualcuno mi ha detto: piantala. Piantala di autosabotarti. Smettila, non ha senso. Piantala. Al che io ho detto ma non so come si fa, e poi che vergogna, che umiliazione, tanto finirebbe che non gli piaccio. E sempre questo Qualcuno-che per inciso è il mio Qualcuno, perchè tutti abbiamo o dovremmo avere un Qualcuno che ti copre sempre le spalle-ha detto non devi fare niente che ti metta a disagio, e non ti sto dicendo di fare chissà che cosa. Solo, magari prova solo a pensare di non autosabotarti, per una volta. 

La mia prima reazione? Ovviamente, avete indovinato. 

No. No no no no no. Semplicemente, no. No e basta, no no no no. Che vergogna. Mi vergogno a fare qualsiasi cosa, non voglio essere vulnerabile, che umiliazione se solo vedesse uno scorcio del casino che sono e poi non gli piacesse, come é successo spesso e volentieri. Del genere si ma no ma su ma dai. 

Stamattina, poi…non lo so. Non so cosa sia successo, esattamente. So solo che a un certo punto c’è stata una battuta da parte di Wolverine, e io ho alzato gli occhi, e l’ho guardato-ebbene si, signori, sono ufficialmente entrata in una fanfiction- e ho detto…okay. Okay. Perchè no. A piccoli passi. Non devo essere a disagio. Posso trovarmi a mio agio senza autosabotarmi. Posso essere senza complessi anche senza bugie.  Posso..posso fare qualcosa, perchè e se invece potesse andare bene? Non è detto che dobbiamo mettci insieme, ma e se andasse bene anche come amicizia? Se mi stessi perdendo l’ennesima occasione? Cosa mi costa fare un piccolo passo verso di lui? Minimo, eh. Ma comunque un passo.

E quindi ho detto: okay. Ci voglio provare. La cosa mi manda campanelli d’allarme ovunque, ma per una volta potrei cercare di soffocarli. Non si tratta di eliminare totalmente le mie barriere, quello mai, ma almeno lasciargli intravedere che c’è qualcuno, dietro a questo contenitore di nevrosi. Qualcuno che potrebbe anche piacergli, forse. O forse no, ma almeno dovrei dargli la possibilità di capirlo, senza mettermi in mezzo con autosabotaggi e creazioni alternative di me stessa. Vorrei essere più sincera, perchè magari, se il mio istinto ha deciso che qualcosa in lui mi piace, magari non si sbaglia. Forse si risolverà in nulla, ma almeno questa cosa mi potrà far crescere, e almeno se lui deciderà che non gli piaccio lo avrà deciso sulla me stessa reale, non la versione strampalata che vorrei vedesse. E lo devo a me stessa, perchè fin’ora è stato facile, dire che a tizio o caio o sempronio non piacevo basandomi su..beh, me stesse che non esistevano. Sará più difficile da accettare, se la me stessa reale non gli andrá bene, ma almeno a quel punto me ne potrò fare una ragione, senza che la fastidiosa vocina nella mia testa mi dica ma se…

Non sarà facile, tutto ciò. Sono abituata ai miei schemi mentali, per cui sarà facile, ricascarci, soprattutto all’inizio. Ogni minima cosa sarà comunque usata contro di lui, e ogni sfaccettatura di me che non mi piace varrà come scusa. Perchè è così che faccio da quando posso ricordarmene. Non sono una bella persona, e c’è più sangue Serpeverde in me che in chiunque altro, probabilmente. Ma voglio darmi comunque una regolata, per cui d’ora in avanti, quando pubblicherò qui, cercherò anche di tenere sotto controllo le volte in cui mi autosaboto, e le volte in cui mento. E chissá, magari sarà con una certa soddisfazione che tra un po’ di mesi -non mi illudo affatto che ci voglia di meno- potrò dire oggi non mi sono autosabotata. 

Siete pronti a contare con me?

Numero di volte in cui mi sono autosabotata oggi: 1

Numero di volte in cui ho mentito a me stessa o a qualcun altro: 1

Cronache dell’inizio della follia

Buonasera popolo.

Tutto ciò che dovete sapere sull’inizio di ciò che mi ha lentamente portato dove sono ora risale a circa tre o quattro mesi fa, quando ancora la laurea triennale mi sembrava un miraggio e pensare a quale magistrale scegliere mi gettava in una sorta di brutta parodia di quei romanzi fatti di lacrime disperate e teste sbattute ripetutamente contro il muro.

Tutto ebbe inizio grazie a mio fratello. La verità è che non bisognerebbe mai dare ascolto ai propri fratelli, perchè in qualche modo si finisce sempre per ritrovarsi in qualche brutto pasticcio, che solitamente implica la vena sul collo di tuo padre che si gonfia in maniera minacciosa e il suo viso che diventa sempre più paonazzo, ma tant’è, questa storia parte proprio da mio fratello.

Mio fratello che, con aria serafica e da grande buisnessman-ormai-nel-mondo-degli affari-da-un-decennio, mi dice di scrivere un blog con le mie mirabolanti imprese.

La mia prima reazione é stata subito dire oh santo cielo, per favore no. 

Io e i diari non abbiamo mai avuto un buon rapporto, vi devo dire la verità. Da piccola me ne hanno regalati una caterva: belli, brutti, grandi e fiorellosi, piccoli e seriosi, con lucchetto, senza. Tutti facevano la stessa, triste e inevitabile fine:  inizialmente erano scritti precisini e perfetti, con una calligrafia invidiabile, dove lo scintillante inchiostro nero spiccava in maniera tutta orgogliosa sulle pagine bianche. Poi subentrava lei, la mia acerrima nemica sin dai tempi più antichi: la Noia. Tenetela ben presente, perché é un personaggio che spesso farà capolino nei miei racconti. Come ogni nemesi che si rispetti, con essa ho un rapporto di reciproco odio ma allo stesso tempo mutuo rispetto. Comunque sto divagando. Dicevo: la Noia arrivava, ed ecco che il bell’inchiostro nero diventava uno scarabocchio dai tratti passivo-aggressivi, fino a sfociare nel più completo nulla esistenziale. Credo di non aver mai portato a termine un diario, mai. cco perchè all’inizio l’idea non mi allettava.

A un certo punto, però, c’è stata quella che nei romanzi viene niente popodimeno chiamata la svolta.

La fatidica svolta è avvenuta un pomeriggio di Novembre inoltrato. Avevo iniziato la magistrale, ero immersa fino al collo nello studio matto e disperato, quando Il Male è venuto a bussare alla mia porta.

Sono convinta che tutti voi abbiate a che fare con un Male di qualche tipo, nella vostra vita, anzi, sono più che certa che tutti voi viviate quotidianamente versi tipi di Male (e vorrei precisare che sto mettendo la maiuscola non a caso: perchè non sto parlando di un male qualsiasi, sto parlando proprio del Male personificato). Il mio Male di quel giorno vestiva inevitabilmente Prada, (più clichè di così non posso esserlo), aveva grandi occhiali da sole tempestati di brillantini (no dai, ora la sto facendo più tragica di quello che realmente era, credo) e rispondeva al nome di…Cugina. Premettendo che io e lei non ci vediamo da anni e anni, l’ultima volta che l’ho incontrata era una persona viziata e piuttosto arrogante, e all’epoca vestiva già Prada, aveva le ultimissime collezioni di qualsiasi cosa, abitava in un villone con piscina, ed era a tutti gli effetti quella che oggi definiremmo una fighetta. E voglio, dire, avremmo avuto si e no dieci anni. All’epoca pensavo che Prada fosse un animale, o qualcosa di simile. 

È l’invidia che mi fa parlare? Oh, molto probabile. Ad essere poi del tutto sincera, il suo essere viziata ha anche una giustificazione dietro, ma questa è una storia per un’altro giorno. Fatto sta, che tale cugina viene aggiunta al favoloso gruppo di whatsapp che condividiamo con l’intera famiglia. (Potrebbe o non potrebbe esserci del sarcasmo dietro la mia frase, ma lascerò al pubblico l’ardua interpretazione). Ed ecco che improvvisamente da quell’apparentemente innocua aggiunta, inizia un cataclisma naturale chiamato MilleNotificheAlMinuto. Ma sul momento non ci feci nemmeno troppo caso: un bel silenzia le notifiche e via, problema momentaneamente risolto. (Se qualcuno si stesse chiedendo se per un attimo sono stata tentata di silenziare quelle dannate notifiche per sempre la risposta è ovviamente sì). 

Evidentemente ero stata troppo ingenua. Andando poi a leggermi i famosi messaggi, stanca e stufa dopo un’abbondante quantità di studio (dato che, come ogni brava studentessa che si rispetti, mi ero presa inevitabilmente all’ultimo minuto e mi mancavano ancora due o tre libri da studiare dall’inizio a pochissimi giorni dall’esame), i messaggi che mi ritrovo, riassunti in breve, erano i seguenti:

Cugina: “daiiiiiiiiiiiiii questo weekend ci dobbiamo assolutamente vedereeeeee vi pregoooooooo ci dovete essere assolutamente tuttiiiiiiii!”
Fratello: “LOL no” (
lui è ha la scusa che lavora e vive all’estero, dannazione).

Mamma: “Eh dobbiamo vedere, non so se mia figlia può”. 

Dunque, tutta contenta che mia mamma per una volta nella sua vita avesse deciso di ascoltarmi prima di dare una risposta, mi apprestai a rispondere.

Io: “Guardate mi spiace tanto, ma io giusto Lunedì ho un esame e se scendessi quel weekend perderei troppo tempo. Mi spiace davvero!Se facciamo un’altra volta volentieri!” (Ci tengo a precisare che da dove studio io a casa mia mi ci vogliono circa tre ore e mezza di treno -settatamila ore se il treno è regionale-, e voglio dire, conosciamo tutti Trenitalia, quindi suppongo di non stupire nessuno se dico che le tre ore e mezza diventano spesso e volentieri quattro e mezza).

La pronta risposta di mia cugina è stata:

Cugina: “eddaaaaaaiiiiiiiii che sarà maaaiiii è solo un esame!Anche io ne ho uno a breve!C’è tutta la famiglia, è proprio brutto se non vieni!”. 

Ora. Calma.

Numero uno: non importa quanto siano barbosi, assillanti, stressanti, da avoltevorreisuicidarmi, io a quei straminchia di pranzi/cene/merende o come diavolo volete chiamarli tra parenti ci sono sempre, sempre, sempre andata. Ho sempre sopportato con stoicità le domande da copione (Quando ti laurei?Ma e il fidanzatino ce l’hai?Ahhhh studi Psicologia, allora mi leggi nella mente?), ho sempre educatamente sorriso alle frasi di circostanza, ho sempre cercato di affogare nell’alco…ehm, dicevo. Ci sono sempre andata. Questo perchè, nonostante siano effettivamente occasioni da voglia di uccidersi, sono la mia famiglia, e sotto sotto li trovo piuttosto divertenti.

Lei quante volte è venuta, invece?Zero. Mai. Nisba. Nada. Lei non si è mai vista, da dieci anni a questa parte. Era sparita nell’etere, senza che nessuno sapesse pressochè nulla di lei, salvo il fatto che fosse viva (ma solo perchè le agenzie di moda non erano ancora fallite, segno che sicuramente lei ancora ci spendeva il patrimonio familiare, là dentro), e che si fosse messa con un tizio molto più grande di lei (la magia di facebook). In tutto ciò non ci sarebbe assolutamente nulla di male, finchè non cerca di farmi la morale se per una misera e sacrosanta volta decido di non andare. 

Ok, forse è il fatto che sono una che tendenzialmente tende a sentirsi in colpa, ed è per questo che me la sono presa tanto, perchè mi ha fatto, appunto, sentire in colpa. Ma porco Ggggggggiuda. 

Numero due: solo un esame?SOLO UN ESAME???
Ok. È vero che lei non poteva sapere come stavo messa (malissimo), è vero che sono la prima a fregarmene altamente degli esami (il fatto che dovessi iniziare ancora a leggere i libri a pochi giorni lo ipotizza, ed il mio anno di ritardo per laurearmi lo dimostra), ma. Ma. MA. La regola fondamentale di ogni studente cazzaro è: a pochi giorni dall’esame, ogni qualsivoglia minimizzazione della tragedia greca che egli o ella sta vivendo NON è assolutamente bene accetta.

Dunque, dopo questo sproloquio che non sarà interessato a nessuno, mi è giunto un semplice pensiero, quella sera di Novembre: volevo un posto dove potermi lamentare di mia cugina senza essere giudicata o ripresa, un posto dove le mie cattiverie servissero solo a far ridacchiare qualcuno e non avessero particolari conseguenze. Ma non solo di mie cugina, naturalmente: mi serviva una parte di mondo dove rifuggire nei momenti in cui la mia acidità rischia di uscire e riversarsi su persone che, francamente, non hanno fatto nulla di male se non avere a che fare con il mio diabolico cervello. Un posto dove sfogare i miei disagi (perchè ne ho molti più di quanto se ne possano contare), un posto dove i miei pensieri potessero essere assolutamente senza alcuna censura. 

Ed ecco quindi, l’illuminazione: seguire il consiglio di mio fratello. Un blog. Geniale. Nulla di meglio per poter essere cinica e sarcastica quanto voglio. Un diario ricolmo delle nefandezze a cui può giungere la mia mente, un qualcosa che nessuno di quelli che potenzialmente conosco potrà mai leggere. Era un’idea grandiosa. Dovevo farlo. Subito.

Naturalmente, adesso è Febbraio. Da Novembre sono passati tre mesi. Do la colpa alla pigrizia. Ma insomma, almeno ho iniziato, giusto?